Thursday, May 8, 2014

OR NOT Magazine - Light Writes Always in Plural

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May 8th  2014

Light writes always in plural – Anne Senstad

di Sarah Corona

Da Goethe a Octavio Paz, attraverso James Turrel, Dan Flavin
e Douglas Wheeler, per arrivare a una sola cosa: la luce in
tutte le sue forme e colori. La luce come oggetto, come
elemento architettonico, la luce come motto filosofico. La
luce come confine politico ed etico.
Come per dire, “La luce scrive al plurale”[1], ponendo l’accento
sul fatto che il suo raggio d’azione non ha confini. Si comporta
come l’acqua, s’infiltra dappertutto, occupa lo spazio e lo altera
fisicamente e psicologicamente.
media che Senstad usa per esprimersi variano dal neon alla
proiezione, dalla stampa fotografica all’installazione site-specific
e la land-art. Senstad si occupa di inserire la luce e/o corpi
luminosi nello spazio quotidiano – sia esterno o interno,
abitato o non. E questi corpi fungono spesso come metafora
o messaggeri di un mondo umano in cui emozioni ed esistenza
sono ridotti al minimo.
È proprio l’opera al neon “Light Writes Always in Plural” che
apre lo scenario alla produzione artistica di Senstad. Ispirata
dal titolo di Octavio Paz nel saggio sulle opere d’arte di
Marcel Duchamp “Water Writes Always in Plural”, il neon
non solo emana la sua luce bluastra dovunque, come
l’acqua, ma rappresenta anche un gioco intelligente di
parole e concetti di filosofia e vita. Sotto il tubo fluorescente
si nasconde un’attenta analisi e critica della nostra lingua,
intesa come mezzo di comunicazione di massa.
Alla letteratura e alla filosofia di grandi pensatori sono ispirate
anche gli altri lavori al neon. “Forget Flavin” nasce dal titolo
dell’articolo di Baudrillard “Oublier Foucault” (1977),
un’ode/critica a Foucault che è sempre rimasta senza risposta. 
Senstad si appropria del concetto trasformandolo in opera 
d’arte luminosa “Forget Flavin”, dichiarando all’artista 
minimalista americano la sua ammirazione e antagonismo. 
Tradotto in ideogrammi cinesi, la frase assume poi non 
solo un addizionale valenza visiva/iconografica, ma la 
relazione immagini/parola è caricata di ulteriore significato. 
Un terzo esempio è “Light Owe’s it’s Existence to the Eye”, 
una citazione di Goethe e un riferimento alla sua ossessione 
per la luce e il colore. Le opere/ frasi al neon sono quindi 
subliminali promemoria e sintomi visivi di un 
concetto intellettuale/artistico, tradotti in oggetto tangibile.
Un aspetto più politico assumono le installazioni nella natura,
land art. Un’opera esemplare è “The River of Migration” 
(2010) realizzato nella bassa California e fatto di 72 luci 
piantate nel paesaggio collinare, in modo da creare un 
una linea spaziale che interferisce con quella geografica. 
Non si tratta solo di un intervento nella geografia, ma di 
un forte gesto di opposizione alle politiche di migrazione: 
un’opera/monumento silenziosa a quelli che hanno perso 
la vita cercando di fuggire oltre il confine del Messico. 
Le lampade a energia solare rappresentano le vittime del 
2010, anno di realizzazione del progetto. La sequenza delle 
luci ricorda l’atto di processione migratoria, il raggruppamento 
dei membri secondo età, stato di salute, compito nel gruppo. 
Il fenomeno di luce artificiale in un paesaggio naturale e 
incontaminato riflette sulla nozione di giorno e notte, luce 
e buio, proponendo un pretesto d’intenzionale interazione.
Le opere nelle quali però riesce a catturare maggiormente
l’attenzione dello spettatore sono le grandi installazioni
ambientali. Attraverso la proiezione di luce colorata tinge
interi ambienti di rosso, blu, giallo, verde e tutte le loro
sfumature intermedie. Combinato a suoni prodotti appositamente,
si crea una poesia visiva e lo spettatore è indotto a
un’esperienza sensoriale che, attraverso visioni di puro colore
e suono, confina a un fenomeno sinestetico. Senstad spiega:
“È la percezione oculare che si sperimenta in natura, combinata 
a un’illusione ottica vissuta fisicamente, perché avvolti da campi 
di colore, forme e suoni artificiali, a creare momenti di totale 
sinestesia.”
Cosi è l’opera “Kinesthesia for Saint Brigid” (2011-12),
un’installazione composta da una continua proiezione
di colori in una chiesa sconsacrata ad Ottawa (Canada).
Accompagnata da un sottofondo musicale incalzante,
composito da JG Thirlwell, l’opera dà origine a
un’esperienza d’arte trascendentale. “Si tratta di creare 
vita in uno spazio chiuso e inabitato” dice Senstad.
Evoluzione di quest’opera è “Universals” (2013), esposta
nell’ambito della 55. Biennale di Venezia del 2013. Un
poligono realizzato con tubi di plexiglass trasparente
abita il centro dello spazio espositivo ed è continuamente
esposto a campi di luce colorati. La scultura nasce
dalla scissione dei campi di proiezione di luce, e la
seguente ricomposizione in un solido. L’opera sfida i
confini dell’architettura, del video e dell’idea tradizionale
di scultura nell’ambito di uno spazio chiuso e definito
ed evidenza il tentativo di solidificare lo spazio che
luce e colore abitano. E chiusi e ben definiti sono
anche le sue stampe digitali nelle quali possiamo
osservare piante d’ipotetiche sculture, solidi impossibili
fatti di raggi colorati e visibili. Come direbbe Goethe,
“visibili solo grazie a una perfetta combinazione tra la 
distribuzione dell’ombra e della luce riflessa da un 
oggetto trasparente.”


[1] Da Octavio Paz on Duchamps work “Water writes alway in plural”